Penultima cappella sul lato di sinistra del Santuario è quella, ricchissima nelle decorazioni, di San Sebastiano. Già pertinenza della nobile famiglia Zibramonti, lo spazio è interessante per più motivi.
I dipinti alle pareti e sulla volta, nascosti da una scialbatura fino al 1967, mostrano una decorazione a grottesche e citazioni da Raffaello effettuate a pochissimi anni di distanza dalle grandi invenzioni romane. I dipinti murali si devono con grande probabilità a due mani distinte che hanno lavorato intorno al 1525: ne fa fede la data che caratterizza il monumento sepolcrale di Francesco Carloni e dei suoi eredi, datato 7 dicembre 1525 e realizzato dallo scultore Bernardino Germani. Proprio la parete di sinistra mostra un’architettura dipinta che completa e amplia il piccolo monumento sepolcrale.
A sinistra un interessante San Francesco indica la tomba, mentre nella lunetta superiore la Resurrezione di Cristo completa simbolicamente l’iconografia. Alla parete opposta, invece, compare una raffigurazione unica che mostra, in alto, Sant’Elisabetta d’Ungheria tra angeli. La religiosa regge con una mano l’abito, gettando verso il basso rose bianche e rosse, che simboleggiano i miracoli concessi per intercessione divina. In basso alcuni gruppi di figure si rivelano di grande interesse: sono, infatti, coloro che hanno chiesto e stanno ricevendo le grazie.
Le figure sono prese direttamente dalle Stanze Vaticane di Raffaello, e realizzate a qualche anno di distanza, verosimilmente rivelandosi tra i primissimi usi dei modelli tratti dal Sanzio. La presenza di Sant’Elisabetta d’Ungheria ha un significato ben chiaro, essendo la protettrice del Terz’Ordine Francescano. Queste pitture sono verosimilmente di mano di Girolamo Botti e Alberto Cavalli.
La volta presenta un trionfo di elementi presi dalla cultura classica “di scavo”: grottesche e clipei, che denunciano la conoscenza di modelli archeologici romani e che rimandano, in qualche modo, alla Scalcheria dell’Appartamento Vedovile di Isabella d’Este in Palazzo Ducale. Al centro, una quadratura vede affacciarsi Dio Padre; purtroppo le condizioni di conservazione non esaltano una qualità forse già modesta in partenza. Nei riquadri che la attorniano sono quattro scene della passione di San Sebastiano (“Il supplizio delle frecce”, “Sebastiano guarito torna dall’imperatore”, “Il sogno della matrona Lucina”, “Il corpo di Sebastiano recuperato nella Cloaca Maxima”).
Di particolare importanza è la pala d’altare, raffigurante San Sebastiano. Un dipinto di grande importanza, rammentato anche da Vasari nelle sue Vite. Il Santo appare al centro, legato per le braccia, e bersaglio delle frecce del primo martirio; gli occhi levati al cielo e, sulla destra, uno scorcio con un edificio antico. Questo è stato identificato nella chiesa di San Pietro in Valle, detta “El Cesón”, nel Veronese ma a brevissima distanza dal confine mantovano, edificio di grande vetustà e caratterizzato dal riuso di elementi in marmo romani. Tornando al protagonista del dipinto, Vasari racconta che si tratta di un giovane “facchino di bella persona”, che lavorava in uno dei porti di Mantova.
Apprezzato per il fisico robusto ed armonico, ma non per l’espressione, troppo gioviale e lontana dalla sofferenza del martirio. Per questo il marchese di Mantova, Francesco II Gonzaga, si nascose nello studio del pittore Francesco Bonsignori. Appena il facchino si spogliò e venne legato al palo, il marchese si palesò puntandogli contro una balestra e accusandolo di varie colpe. Al termine della messinscena chiese all’artista se avesse compiuto il suo lavoro e poi liberò il facchino.
Certamente lo sguardo del santo, qui, non pare particolarmente sofferente e addolorato, tanto da giustificare l’aneddoto vasariano che, probabilmente, fa parte del numero non piccolo di storie inventate dall’aretino per la redazione delle sue Vite. Comunque sia, appare assolutamente rilevante la menzione della pala di Grazie all’interno del capolavoro di Giorgio Vasari.
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