Lo spettacolo che si offre al visitatore all’interno del Santuario della Beata Vergine delle Grazie è insolito e stupefacente, e a poco sono valsi i tentativi degli storici nel passato di trovare un modello primo per la decorazione; questo a in quanto si tratta di un unicum a livello mondiale.
Varcata la soglia d’accesso si apre lo spazio interno della basilica minore: ad aula unica, illuminata da svelte monofore, culminante in un abside poligonale e arricchita da numerose cappelle per ogni lato. L’aspetto è curiosissimo e frutto di numerose sovrapposizioni. La struttura principale è, infatti, di carattere gotico lombardo, ma l’abbellimento è spesso rinascimentale (come nell’abside o in alcune cappelle) o tardomanierista (verrebbe da indicare il carattere prebarocco degli stucchi vianeschi che decorano la volta della cappella dei Passionisti).
L’aula è lunga 45 metri e larga 15, ha una copertura volte ogivali a crociera (i peducci sono collocati a otto metri dal piano di calpestio), divisa da due arconate in tre campate distinte, di forma quadrata. La copertura fu edificata con grande probabilità una ventina d’anni dopo l’edificazione del Santuario, dato che nella chiave di volta centrale compare il trigramma bernardiniano. San Bernardino da Siena fu ospite del complesso religioso nel 1420, attivo nella predicazione e ricordato anche per alcuni miracoli, dalle guarigioni prodigiose alla navigazione del lago svolta al di sopra del suo mantello.
Le altre due chiavi di volta raffigurano la Madonna col Bambino e la Luna. Ampio il simbolismo di questi elementi: il Sole Bernardiniano è posto al centro della navata e si relaziona con la Luna e con il gruppo mariano. Il riferimento potrebbe essere all’Apocalisse (12,1.4; 20,1-2), nella quale si legge: «Nel cielo apparve un segno grandioso: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi (…) Un drago si pose davanti alla donna che stava per partorire, per divorare il bambino appena nato (…) Un angelo scese dal cielo con una gran catena in mano; afferrò il dragone, il serpente antico cioè il diavolo, satana, e lo incatenò».
La decorazione delle volte, a girali floreali, è senz’altro antica, ed è stata letta simbolicamente (simboli araldici dei Gonzaga, allusioni esoteriche e alchemiche, ornamento floreale in onore della Vergine), ma nell’Ottocento è stata ridipinta, e tra le volute della prima campata si scorgono le iniziali degli artisti.
Dalle volte pendono preziosi lampadari in vetro di Murano e, in corrispondenza dell’antica campata, un coccodrillo impagliato. Le pareti sono coperte da un impalcato ligneo contenente una sessantina di statue polimateriche raffiguranti visitatori illustri e miracolati dalla Vergine, e ricoperto da finissimi ex voto in cera. Si tratta dell’unico esempio sopravvivente al mondo di questa antica usanza, nota, per esempio, anche all’Annunziata di Firenze o a Viterbo, dove, però, nulla rimane di queste sculture.
Il visitatore, all’ingresso del tempio, è attratto dal grande coccodrillo appeso nella prima campata della chiesa. Si tratta di un coccodrillo nilotico impagliato ad inizio Quattrocento e verosimilmente posto nel Santuario in occasione della sua riapertura dopo la ricostruzione voluta da Francesco I Gonzaga. Si tratta di un simbolo medievale, legato all’aspetto apotropaico, alla presenza del demonio nella realtà terrena e all’intervento della Vergine. Il suo significato è quello di allontanare ogni altro mostro dallo spazio sacro: chi entri in chiesa per chiedere una grazia fisica, mentale o spirituale, dunque, deve lasciare al di fuori del Santuario dolori e paure, aprendosi alla fede e all’amore della Vergine. Nell’Europa cattolica si conosce una sessantina di coccodrilli posti all’interno delle chiese; gli esemplari più antichi sono quelli di Mantova e di Siviglia, in Spagna. Ovunque, come a Grazie, è poi nata la leggenda del mostro ucciso da un eroe che poi ha portato le spoglie del rettile nel Santuario, come segno di ringraziamento.
Si tratta di interpretazioni ex post interessantissime per l’aspetto demologico ma non legate alla vera storia. Per quanto riguarda il coccodrillo di Grazie, infatti, una leggenda narra come l’esemplare fosse fuggito dallo zoo dei Gonzaga e fosse poi stato ucciso dopo aver terrorizzato gli abitanti. Leggenda bellissima e affascinante, se raccontata dai barcaioli del Mincio, ma completamente inventata nel corso dei secoli.
La parte inferiore della navata mostra gli accessi alle cappelle, molti dei quali, benché in parte occultati dall’impalcato ligneo, rivelano l’originale foggia a sesto acuto o quella successiva a tutto sesto. Lungo la navata sono affissi monumenti sepolcrali di elevata fattura, nonché lacerti di decorazione a fresco. Da notare, sul lato di sinistra, tra gli accessi alle cappelle, due dipinti murali quattro-cinquecenteschi. Anzitutto una Madonna della Misericordia incoronata da due angeli e affiancata dai santi Cristoforo e Girolamo. Sotto il suo manto, come tradizione, compaiono rappresentanti di tutte le componenti della Chiesa. Poco più oltre è la scena della Natività di Gesù, col Bambino posto tra i genitori innanzi alla grotta/capanna, adagiato sul manto della Vergine.
Degni di nota i ricchi monumenti sepolcrali, ricchi di marmi colorati, tra i quali quello del poeta e funzionario gonzaghesco Eugenio Cagnani e quello, ornato di due cariatidi simboliche, di Bartolomeo Pancera. Lungo la navata alla parete di sinistra immediatamente prima dell’accesso alla prima cappella, è una lapide sepolcrale, proveniente dal chiostro. Lo stemma con le quattro aquile indica la famiglia Gonzaga: era, infatti, la sepoltura di Luigi Alessandro Gonzaga, signore di Castel Goffredo, Castiglione e Solferino, nonché nonno di San Luigi Gonzaga. Qui era sepolto anche Alfonso, assassinato nel 1592, mentre non resta traccia di Ferrante, rispettivamente loro figlio e fratello (e padre del santo), pure sepolto a Grazie.
Sul lato opposto, in angolo è posto un supporto in ferro battuto contenente il “segno” che Giovanni Paolo II lasciò il 23 giugno 1991 sull’asfalto del piazzale antistante accanto al Giudizio Universale realizzato dai madonnari. La sigla a gessetto, che è a tutti gli effetti una reliquia del santo Papa, è accompagnata alla parete da una grande lapide che ricorda i giorni in terra mantovana di Giovanni Paolo II, giunto in riva al Mincio per celebrare i 400 anni dalla morte di San Luigi Gonzaga.
La pavimentazione marmorea è relativamente recente, ma è già testimoniata nella citata veduta di Moro realizzata intorno alla metà del diciannovesimo secolo.
Da notare in fondo alla navata al lato destro un antico leggio in legno intagliato e dorato, sul quale si può leggere la Scrittura del giorno. Questo si relaziona con due candelabri a sette bracci attualmente posti nella prima cappella sul lato di sinistra. I tre arredi provengono da una delle molte sinagoghe di Mantova, purtroppo tutte distrutte tranne una. Il reimpiego di questi tre pezzi, fortunatamente sempre ad uso sacro, può essere considerato un segno forte di vicinanza e amicizia tra i cristiani e gli ebrei.
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